Il 61enne Uli Hoeness, presidente del Bayern Monaco, è uno dei simboli del calcio tedesco e di un club modello in tutto il mondo. Un esempio di onestà che si era fatto apprezzare per l’impegno nelle campagne sportive sull’integrazione e per la solidarietà, inoltre in varie occasioni aveva ricevuto la proposta di entrare in politica. La sua opinione sulla tassazione fiscale tedesca, però, era ben nota. «Aumentare le tasse non serve a niente. Alla fine i ricchi andranno in Austria o in Svizzera», aveva detto per esempio qualche tempo fa nel corso di un talk-show televisivo. L’immagine e la rettitudine del numero uno bavarese fu scalfita il 20 marzo scorso, quando fu arrestato per evasione fiscale e poi rimesso in libertà dopo aver pagato una cauzione di 5 milioni di euro.
In un primo tempo si doveva presentare alle autorità due volte la settimana, poi la restrizione venne sospesa. Angela Merkel, con cui i rapporti erano molto amichevoli, dichiarò di essere «delusa» per il suo comportamento. La procura di Monaco ha chiesto l’imputazione per l’ex centravanti della Nazionale tedesca campione del mondo nel 1974. L’accusa è di evasione fiscale. Spetterà ora alla camera per i reati economici della corte del Land bavarese pronunciarsi in merito alla richiesta. Il presidente del club campione d’Europa è accusato di aver versato su un conto svizzero circa 10 milioni di euro di guadagni personali, poco prima che il Bundesrat (la camera delle regioni tedesca) bloccasse l’accordo fiscale voluto dalla cancelliera Angela Merkel con la nazione elvetica.
Il club, dopo aver appreso della posizione delicata del suo dirigente, non aveva comunque voluto procedere con azioni disciplinari. «Ho commesso un grave errore, a cui sto cercando di riparare», disse Hoeness in una intervista a Sport Bild lo scorso aprile.
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